lunedì 29 gennaio 2018

RECENSIONE | "Il monastero dei delitti" di Claudio Aita [Review Party]

Oggi, 29 gennaio 2018, esce in libreria un romanzo che ci offre un’immagine inquietante della splendida Firenze. La Newton Compton Editori pubblica “Il Monastero Dei Delitti” di Claudio Aita. Se siete tra gli ammiratori della bella Firenze, dove il genio dell’uomo si è espresso in una miriade di modi, questo viaggio, nell’anima nera della città, vi coinvolgerà mostrandovi una realtà sconvolgente.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
Il monastero dei delitti
Claudio Aita

Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Cosa hanno in comune i delitti del Mostro di Firenze, un antico manoscritto criptato e un inquietante monastero del Trecento? Geremia Solaris è allo sbando: un tempo uomo brillante e studioso di fama, dopo disillusioni e fallimenti, a cinquant'anni si ritrova senza soldi, ambizioni e interesse per il suo lavoro, e con una bottiglia di Chianti per amica. La sua vita, però, è destinata a cambiare radicalmente quando riceve un'inquietante e-mail da un suo ex professore. In allegato c'è la riproduzione di un misterioso manoscritto, ritrovato in un monastero, che l'anziano docente chiede a Geremia di decriptare. Geremia si riscuote dal torpore e, vinto dalla curiosità, si mette all'opera, ritrovandosi invischiato in un meccanismo che non riesce a comprendere fino in fondo. E quando in un secondo, sibillino messaggio il professore gli chiede di vederlo, ha la drammatica conferma di essere entrato in un labirinto da cui è difficile uscire. Senza contare che, nel frattempo, corpi orribilmente mutilati vengono rinvenuti nelle campagne intorno a Firenze e la paura si diffonde a macchia d'olio. Come una vera e propria epidemia di terrore...



Il fatto è che Firenze è una città consacrata al male, da sempre dedicata a un dio pagano, che la leggenda ha identificato con Marte. La sua statua campeggiava accanto a Ponte Vecchio fino a quando una provvidenziale alluvione, nel trecento, la sradicò dal suo piedistallo e la trascinò via per sempre.
Vediamo un po’, cari lettori, se riesco a stuzzicare la vostra curiosità.

Un monastero, il cadavere oltraggiato di una suora, l’Inquisizione, un misterioso manoscritto, i delitti del mostro di Firenze. La Firenze medievale legata a un filo sottile con la Firenze odierna. Una scia di sangue che attraversa i secoli nutrendosi del corpo di giovani donne. Atroci delitti che mostrano la città come un luogo consacrato a entità oscure e terribili.

“Il Monastero Dei Delitti” è un thriller le cui vicende si svolgono su due piani temporali che si alternano nella narrazione, uno contemporaneo e uno medievale.

Frate Lamberto è il protagonista degli eventi che si svolgono nella Firenze del Trecento. Nel monastero di Sant’Ambrogio è stato commesso un’atroce delitto: il cadavere violato di una suora apre le porte dell’inferno. Del caso si occupa frate Lamberto ma nulla può contro il malvagio potere di Frate Accursio Bonfantini, il “Grande Inquisitore”. Un veloce e sommario processo condannano a morte un’altra suora ritenuta colpevole dell’omicidio. La confessione falsa è ottenuta con disumane torture. Il Male vince indossando le vesti insanguinate della giustizia.

Lasciamo per un momento il medioevo e spostiamoci nel presente, a Firenze, per conoscere Geremia Solaris, un personaggio destinato a diventare, a sua insaputa, un eroe. Geremia, alla soglia dei cinquant’anni, è un uomo che dalla vita non si aspetta più nulla. La donna da lui amata è morta da alcuni anni e lui non riesce ad accettare questo doloroso destino. Ha un lavoro precario, nessuna ambizione, e, come fedele amica, una bottiglia di Chianti. La sua vita cambierà quando riceve un misterioso manoscritto da decriptare. Geremia,vinto dalla curiosità, inizia a lavorare sul manoscritto. Man mano che il lavoro procede, lo studioso si ritroverà al centro di fatti violenti a conferma di pericoli sempre più grandi che lo minacciano. Decifrare il manoscritto vuol dire ritrovare quel filo sottile che unisce passato e presente. Vuol dire accedere a una verità di morte che nei secoli è sopravvissuta nascondendosi nel lato oscuro della città toscana. Vuol dire toccare con mano il Male, esserne coinvolto e tentare di sfuggire alla morte.

"Il monastero dei delitti" è un romanzo che avvince e inquieta riportando il lettore indietro nel tempo e mettendolo di fronte alla crudeltà umana. Ieri come oggi. Ho molto apprezzato il rigore storico alla base dei capitoli in cui l’ambientazione ci riporta nel ‘300. È stato per me affascinante scoprire, in dettaglio, la vita nei monasteri e il rapporto tra Chiesa e potere. La bramosia di ricchezza perseguita da uomini di chiesa, disposti a condannare a morte uomini e donne pur di confiscare i loro beni. L’Inquisizione con torture e stragi in nome di una rinascita spirituale libera da eresia. L’eterna lotta tra il Bene e Male. Ho notato che alcuni dei personaggi sono realmente esistiti così come molti luoghi nominati sono, ancor oggi, presenti nella tormentata Firenze. Definisco la città “tormentata” perché le sue bellezze hanno visto commettere atroci delitti, come se ci fosse una vena di violenza pronta a travolgere vite umane. Chi non ricorda il Mostra di Firenze? Le indagini hanno indicato in Pacciani e nei suoi “compagni di merende”, i colpevoli di ben 8 duplici omicidi che insanguinarono le campagne fiorentine. Ma il castello accusatorio presentava molte crepe e forse la verità non si saprà mai. Di una cosa però possiamo esser sicuri: il male esiste, è una presenza concreta nella vita dell’uomo, non riusciamo a farne a meno. È nella natura dell’uomo esercitare il male. Ma può il male scomparire? Non svanirebbe così anche il bene? Consoliamoci, i malvagi andranno all’inferno e i buoni in paradiso. Intanto, però, ci tocca vivere sulla Terra e facile non è.

“E’ nel profondo del cuore la radice di ogni bene, e, purtroppo, di ogni male.”  Papa Paolo VI


sabato 27 gennaio 2018

BLOGTOUR "120, Rue De La Gare" di Léo Malet | L'investigatore Nestor Burma

Torna in libreria, edito da Fazi nella collana Darkside, uno dei libri più letti e apprezzati di Léo Malet: “120, Rue De La Gare”. Questo giallo, pubblicato per la prima volta nel 1943, vede la nascita di un personaggio affascinante, l’investigatore privato Nestor Burma, protagonista di una trentina di romanzi, inclusa una “serie nella serie” intitolata “I nuovi misteri di Parigi” e che comprende quindici racconti, ognuno dedicato a un diverso arrondissement di Parigi. Sarà proprio il personaggio di Burma a far riscuotere a Malet i primi consensi di pubblico. In Francia, dal 1991 al 2003, è andata in onda una serie televisiva con protagonista Burma. L’investigatore ha avuto anche una trasposizione a fumetti per opera del disegnatore Jacques Tardì.




120,Rue De La Gare
Léo Malet (traduzione di F. Angelini)

Editore: Fazi
Pagine: 216
Prezzo: € 15,00
Sinossi
Primi anni Quaranta. C'è la guerra. Nestor Burma è appena tornato dal campo di prigionia e vede per caso Colomer, suo socio all'agenzia investigativa Fiat Lux prima che venisse chiusa, davanti alla stazione di Perrache. Proprio quando i due si riconoscono e stanno per incontrarsi dopo tanto tempo, Colomer cade a terra, freddato da un colpo di pistola. Prima di morire, però, riesce a sussurrare all'amico un indirizzo: 120, rue de la Gare. Lo stesso che Burma aveva sentito ripetere all'ospedale militare da un prigioniero colpito da amnesia. Sulla scena del delitto c'è una ragazza armata. E lei l'assassina? Partendo dal rebus del misterioso indirizzo, iniziano le indagini. Ad aiutare l'investigatore ci saranno il poliziotto Florimond Faroux e la bella Hélène Chatelain, ex segretaria della Fiat Lux che, sospettata di nascondere qualcosa, verrà addirittura pedinata dalla polizia.



L'investigatore Nestor Burma.
Dica a Hélène…120, rue de la Gare

Primi anni Quaranta. La guerra è in atto. Nestor Burma è appena tornato dal campo di prigionia e casualmente, in stazione, incontra Colomer, suo socio all’agenzia investigativa Fiat Lux prima che venisse chiusa. Improvvisamente Colomer si accascia al suolo freddato da un colpo di pistola. Prima di morire l’uomo riesce a sussurrare all’amico un indirizzo: 120, Rue de la Gare. Burma aveva già sentito questo indirizzo: all’ospedale militare, un prigioniero colpito da amnesia, lo aveva detto in fin di vita. Che rapporto c’è tra i due uomini? Cosa nasconde il rebus del misterioso indirizzo? Burma indaga.

Io ho avuto il piacere di leggere questo giallo facendo, così, la conoscenza di un investigatore privato poco convenzionale. Nestor Burma, per tutti Dinamite Burma, è un tipo deciso, autoritario quando serve, ironico e poco ligio alle regole.
Sono Nestor Burma, l’uomo che ha messo KO il mistero.

L’investigatore, almeno in questa sua prima avventura, non è ben descritto fisicamente. Invece appare ben chiaro che non ama condividere ciò che scopre con gli altri. È un tipo sempre pronto al rischio e all’avventura, subisce il fascino delle donne, si mostra cinico, furbo e curioso. Ha un personale concetto di giustizia, mostra attenzione per i dettagli e si relaziona con uno spiccato sense of humour. 

Nestor Burma è un antieroe: irrequieto, fuma la pipa, beve, parla spesso con voce concitata, ma non sbaglia mai. Ama indossare completi principe di Galles, questo prima della guerra, e non teme la violenza. Queste caratteristiche segnano una parte del suo carattere e dei suoi comportamenti. È un uomo che incuriosisce, è un personaggio che attira per i suoi modi poco consueti. 

Naturalmente risolverà il caso in maniera brillante, ogni tessera del mosaico troverà il suo posto e il colpevole verrà assicurato alla giustizia. La figura di Nestor Burma sarà più complessa e ricca di sfaccettature, si evolverà nei tanti gialli di cui sarà protagonista. Lui, la sua inseparabile pipa e l’amore profondo per Parigi. Sarà sicuramente una conoscenza proficua e duratura nel tempo.



Vi invito a leggere il romanzo e a seguire il blogtour ad esso dedicato :) 
Ecco il calendario:


Buona lettura.

giovedì 25 gennaio 2018

RECENSIONE | "La fattoria dei gelsomini" di Elizabeth Von Arnim

Con "La fattoria dei gelsomini” (Fazi) continua la mia conoscenza della scrittrice Elizabeth Von Arnim. Mi piace il suo stile semplice ma elegante, l’ironia con cui tratta temi importanti, l’introspezione che caratterizza i suoi personaggi, le riflessioni che mostrano la società inglese con le sue debolezze. Non c’è noia nei suoi romanzi anzi spesso mi sono ritrovata a sorridere percependo la sottile ironia che caratterizza  i racconti. Sovente l’ironia maschera il fendente con cui l’autrice colpisce l’aristocrazia mostrando comportamenti superficiali camuffati dalla rispettabilità che il rango impone.

STILE: 7 | STORIA: 7 | COVER: 7
La fattoria dei gelsomini
Elizabeth Von Arnim (traduzione di S. Terziani)

Editore: Fazi
Pagine: 347
Prezzo: € 15,00
Sinossi
Lady Daisy e sua figlia Terry hanno invitato alcuni ospiti a trascorrere il fine settimana nella loro dimora di campagna. Ma la padrona di casa, di solito ineccepibile, non si rivela all'altezza. Più passa il tempo, più il soggiorno, che culmina in un interminabile pranzo, diventa un supplizio per tutti: il caldo è insopportabile, le interazioni obbligate alla lunga sfiancano, e il dolce all'uva spina, causa di imbarazzanti malesseri, è il colpo di grazia. Sempre più in- sofferenti, Mr Topham e il misterioso Andrew trovano rifugio in una lunga partita a scacchi, che si protrae fino a notte inoltrata, quando tutti gli altri sono già a letto. Peccato solo che la candida Terry, il mattino dopo, sappia chi ha vinto. A questo punto i sospetti di adulterio della moglie di Andrew diventano certezza: alla giovane Rosie non resta che mettere a punto la vendetta. E quale miglior alleata, se non la madre, l'esuberante Mrs de Lacy, scaltra come poche, che non vede l'ora di irrompere sulla scena, avendo già fiutato l'occasione per guadagnarci qualcosa?





Certo, la ricchezza e la posizione sociale erano insidie che Lady Midhurst si trovava a dover affrontare, unite ad alcuni aspetti decisamente spiacevoli della sua personalità, come per esempio l’abitudine di tingersi i capelli con l’henné, quando era ormai evidente che fossero grigi da tempo, o il fatto che non volesse lasciar sfiorire la giovinezza senza opporvi resistenza armata di trucco, rossetto e smalto rosso sulle unghie… Che tristezza, e con una figlia ormai grande, per giunta.
Lady Midhurst, donna affascinante, ricca e altera, ospita a Shillerton, dimora di campagna, illustri ospiti per il fine settimana. Gli ospiti appaiono irrequieti stremati dal caldo insopportabile, insoddisfatti dalle vivande non all’altezza dell’attenzione e cura di Lady Daisy. Il vecchio Mr Topham e l’amico Andrew, per sfuggire alla noia, iniziano una lunga partita a scacchi che durerà fino a notte inoltrata.
Hai vinto, allora.
Questa frase pronunciata da Terry, la giovane e deliziosa figlia di Daisy, è l’inizio di un domino emotivo e sociale, cadono tutte le pedine, gli avvenimenti precipitano ed è il caos. Infatti, se tutti gli ospiti sono già andati a dormire, come fa Terry, la mattina dopo, a sapere chi ha vinto?

In Rosie, moglie di Andrew, il sospetto dell’adulterio del marito diventa certezza e così racconta tutto alla madre,la scaltra e avida Belle. La donna si reca da Lady Daisy per ricattarla, il suo silenzio in cambio di una rendita a vita. Dasy, sconvolta dalla rivelazione, decide di fuggire in Provenza, in una piccola fattoria dono del marito defunto. Come ha potuto Terry avere un simile comportamento? La strada del disonore, già percorsa da Desy a causa dei continui tradimenti del marito, le si spalanca nuovamente davanti. Avrà il coraggio di percorrerla ancora? Potrà mai perdonare sua figlia?

Il romanzo si divide in due parti. L’inizio è un po’ lento con qualche descrizione di troppo e l’ingombrante, quanto fastidiosa, presenza di uva spina in più portate dei vari menù. Proprio attorno al tavolo conosciamo i vari personaggi descritti con penna arguta. È piacevolissimo leggere la descrizione dei comportamenti dell’aristocrazia londinese, ipocrisia e maschere a celare i veri pensieri di ognuno di loro. I personaggi femminili mostrano le loro debolezze, la perfezione è lontana dai loro cuori e dalle loro menti. Gli uomini si mostrano meschini, incapaci di affrontare difficili situazioni, pronti a pensare una cosa e a dire il contrario. Tutti indossano una maschera. Tutti sono peccatori ma pronti a diventare giudici degli errori altrui.

I personaggi femminili mi hanno coinvolta maggiormente, gli uomini ombra son un passo dietro alle signore.

Daisy è una donna dal cuore di ghiaccio. Prigioniera del ricordo di un matrimonio infelice, ossessionata dalla cura del suo aspetto, non riesce ad accettare il tempo che passa.

Terry ama sua madre, si dedica a opere di beneficenza. È una donna che affronta la vita senza alcun timore.

Mumsie, madre di Rosie, ha una visione tutta sua del matrimonio considerandolo “fonte di guadagno”. La sua filosofia di vita è “mai dire mai”, mai piangere sul latte versato, bensì ridere, ridere sempre.

Rosie è una pallida riproduzione del comportamento materno. È una bella donna ma senza carattere.

La seconda parte del romanzo acquista ritmo e mette a nudo nuove verità. Dasy decide di ritornare alla fattoria dei Gelsomini, nella Francia del sud, e qui si risvegliano dolci ricordi ripensando a quei lontani 15 giorni di assoluta felicità con il marito. Erano trascorsi ben 25 anni da quella luna di miele ma, alla fattoria, il tempo sembrava essersi fermato. Ricordare le umiliazioni e i tradimenti, giunti dopo poche settimane dalla celebrazione del matrimonio, riapre vecchie ferite mai guarite. L’amore tanto atteso, la felicità desiderata, la fiducia e il rispetto nel rapporto con il marito, avevano lasciato il posto al nulla.
Tutto ciò che aveva sperato e amato era nullo; lei stessa era nulla; il nulla la circondava; stava entrando in un futuro fatto di nulla.
Questa seconda parte, devo confessarlo, mi ha coinvolta maggiormente. C’è azione, i personaggi interagiscono maggiormente e si creano situazioni in cui l’introspezione cede il posto all’agire e a nuove tecniche di seduzione. Cadono le maschere dell’amore, dell’incapacità di perdonare e ci si libera da un passato che aveva tenuto prigioniero il presente. In una girandola di dialoghi affiorano i ripensamenti e la consapevolezza degli errori fatti. Il finale, prevedibile con un goccia di amaro, stringe in un lungo abbraccio i temi trattati: seduzione, solitudine, tradimento, amore, perdita della bellezza e della giovinezza, finto perbenismo della società inglese, emancipazione femminile, filosofia del matrimonio come riscatto sociale.

“La fattoria dei gelsomini” è una lettura piacevole. Trovo “Il giardino di Elizabeth” (recensione) un gradino più su senza nulla togliere al romanzo oggetto di questa recensione. L’autrice mi piace. Decisa e ironica percorre la sua strada di donna e scrittrice, affronta temi ancor oggi attuali. Leggerò sicuramente altri suoi lavori. Se voi già conoscete Elizabeth Von Arnim, consigliatemi un suo lavoro. Nell’attesa vi saluto augurandovi belle e intense letture.

giovedì 18 gennaio 2018

RECENSIONE | "Il giardino di Elizabeth" di Elizabeth von Arnim

Grazie a Fazi Editore ho scoperto “Il giardino di Elizabeth”, un romanzo di ispirazione autobiografica della scrittrice britannica nota come Elizabeth Von Arnim, pubblicato nella prima edizione in lingua inglese nel 1898 con lo pseudonimo di Elizabeth, senza cognome. Metafora della vita, il giardino diventa luogo in cui è possibile trovare equilibrio e pace interiore, lontano da una società superficiale votata al dio-uomo e alla donna-sottomessa.

STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 8
Il giardino di Elizaebth
Elizabeth von Arnim

Editore: Fazi
Pagine: 180
Prezzo: € 16,50
Sinossi
In fuga dall’opprimente vita di città, l’aristocratica Elizabeth si stabilisce nell’ex convento di proprietà del marito, un luogo isolato e carico di storia in Pomerania. A vivacizzare le giornate della signora ci sono le tre figlie – la bimba di aprile, la bimba di maggio e la bimba di giugno –, le amiche Irais e Minora, ospiti più o meno gradite con le quali intrattiene conversazioni brillanti e conflittuali, sempre in bilico fra solidarietà e rivalità femminile, e poi c’è lui, l’Uomo della collera, «colui che detiene il diritto di manifestarsi quando e come più gli piace». Ma soprattutto c’è il giardino, una vera e propria oasi di cui Elizabeth si innamora perdutamente. Estasiata dalla pace e dalla tranquillità del luogo, trascorre le ore da sola con un libro in mano, immersa nei colori, nei profumi e nei silenzi, cibandosi soltanto di insalata e tè consumati all’ombra dei lillà. Mentre le stagioni si susseguono, Elizabeth ritrova se stessa, i suoi spazi, i suoi ricordi e la sua libertà. Una storia che ha molto di autobiografico narrata da una donna più avanti del suo tempo: una donna di mondo coraggiosa e irriverente che parla a tutte le donne di oggi. Uscito per la prima volta nel 1898 in forma anonima, Il giardino di Elizabeth, primo romanzo di Elizabeth von Arnim, ebbe da subito un successo clamoroso.



7 maggio

Adoro il mio giardino. Ed è proprio in giardino, nella magnificenza del tardo pomeriggio, che sto scrivendo queste pagine, con le zanzare che non mi lasciano in pace e la tentazione di alzare gli occhi per guardare il tripudio delle giovani foglioline lavate dal fresco piovasco di mezz’ora fa. Mi fanno compagnia due gufi, e la loro lunga conversazione mi delizia quanto il canto degli usignoli.
Dopo aver vissuto per cinque anni a Berlino, l’aristocratica Elizabeth decide di abbandonare la città per stabilirsi in Pomerania, nell’ex convento di proprietà del marito, il conte Von Arnim. Il luogo solitario conquista la signora che trascorre le sue giornate con le tre figlie – la bimba di aprile, la bimba di maggio e la bimba di giugno – e le amiche Irais e Minora, ospiti più o meno gradite.
Le visite dei parenti non sono mai apprezzate. Il loro andar via è fonte di piacere.
A completare il quadretto familiare c’è lui, il marito, chiamato da Elizabeth “l’Uomo della Collera”.
Colui che detiene il diritto di manifestarsi quando e come più gli piace.
Ma, soprattutto, c’è il giardino, il grande amore di Elizabeth in cui trascorre le ore in beata solitudine.
La frenesia di stare sempre con i propri pari, e la paura di essere lasciati soli per poche ore, è per me del tutto incomprensibile. Io sono capace d’intrattenermi benissimo da me stessa per settimane di seguito, senza accorgermi per nulla, se non per la pace che mi pervade, di essere stata sola.
In questa oasi di pace Elizabeth legge, sogna, scrive circondata dalla bellezza dei fiori e dei colori, immersa nei profumi e nel silenzio. In lei c’è un’autentica determinazione a voler esser qualcosa di più di una buona moglie tedesca.
La gente qui intorno è persuasa che io sia, per metterla nei termini più gentili possibili, oltremodo eccentrica; perché si è sparsa la voce che passo la giornata fuori all’aria aperta con un libro, e che occhi mortali ancora non mi hanno visto cucire o cucinare. Ma perché cucinare, quando puoi trovare qualcun altro che cucina per te?
Leggendo questo breve diario autobiografico sono stata coinvolta con tutti i sensi nella vita della protagonista. La vista per ammirare le bellezze del giardino. L’olfatto per percepire il profumo dei fiori. L’udito per ascoltare il cinguettio degli uccelli, lo scroscio della pioggia, la voce della natura. Il gusto per assaporare il tè, comodamente seduta all’ombra di un magnifico albero. Il tatto per esser a contatto diretto con fiori e piante.

Ho condiviso, con Elizabeth, riflessioni e pensieri che, vi meraviglierà, trovano terreno fertile anche oggi, nella nostra difficile e complessa società. Elizabeth parla alle donne del nostro presente. Parla del rispetto dovuto alle donne, considerate dalla legge del tempo “come idiote”. Descrive una società superficiale schierandosi contro il maschilismo. Non approva la superficialità delle donne che accettano “la superiorità maschile”. Non accetta l’esclusione delle donne dalla vita politica, costrette a subire in silenzio le violenze dell’uomo-padrone. Il diario, ambientato alla fine dell’800, rende il giardino il fulcro della narrazione, è un luogo sicuro e lontano dalle cattiverie del mondo. Nella solitudine Elizabeth scopre la felicità di un’esistenza libera, non deve nascondere il suo amore per i libri, non deve sopprimere la sua voglia di scrivere. Sicuramente non è facile vivere il conflitto tra libertà e oppressione, desideri e doveri.
Che risurrezione di bellezza c’è nel mio giardino e di brillante speranza nel mio cuore.
“Il giardino di Elizabeth” è un delizioso diario che ho letto con vero piacere. Ho apprezzato la scrittura semplice ma incisiva, le descrizioni della natura che diventano un tutt’uno con le riflessioni della protagonista. Riflessioni ancor oggi valide a testimonianza di un romanzo sempre attuale. Un diario coraggioso per l’epoca, un diario che mostra il coraggio delle donne. Passare dai pensieri ai fatti è ciò che la donna ha realizzato nella sua lunga risalita verso quella dignità che tutti abbiamo per nascita.

Ora ho deciso di leggere “La fattoria dei gelsomini”, voglio conoscere meglio questa scrittrice. Voi avete già letto altre opere di Elizabeth Von Arnim? Cosa ne pensate? Sono curiosa di conoscere i vostri pareri.

lunedì 15 gennaio 2018

RECENSIONE | "L'alienista" di Caleb Carr

A volte sento la necessità di leggere un romanzo diverso dal genere che preferisco. Chi mi segue sa che adoro i thriller, serial killer e omicidi mi affascinano, tuttavia, non so come ne perché, finisco sempre per acquistare libri che si rivelano storie nere. È come percepire un richiamo a cui non posso e non voglio resistere. Quindi, con l’idea del cambiamento, mi sono ritrovata tra le mani un romanzo che mi ha incuriosita per la cover e per il titolo. Naturalmente si è rivelato un thriller storico molto originale.

STILE: 8 | STORIA: 9 | COVER: 8
L'alienista
Caleb Carr (traduzione di A. Biavasco e V. Guani)

Editore: Newton Compton
Pagine: 475
Prezzo: € 10,00
Sinossi
New York 1896. Il reporter John Schuyler Moore riceve la chiamata inaspettata di Laszlo Kreizler - psicologo e "alienista" -, un suo amico di vecchio corso. Il dottore lo prega di raggiungerlo al più presto per assistere al ritrovamento di un cadavere. Il corpo è stato orrendamente mutilato e poi abbandonato nelle vicinanze di un ponte ancora in costruzione. La vista di quel macabro spettacolo fa nascere nei due amici un proposito ambizioso: è possibile creare il profilo psicologico di un assassino basandosi sui dettagli dei suoi delitti? In un'epoca in cui la società considera i criminali geneticamente predisposti, il giornalista e il dottore dovranno fare i conti con poliziotti corrotti, gangster senza scrupoli é varia umanità. Scopriranno, a loro spese, che cercare di infilarsi nella mente contorta di un assassino può significare trovarsi di fronte all'orrore di un passato mai cancellato. Un passato pronto a tornare a galla di nuovo, per uccidere ancora.

Fu allora che lo vidi…

La sfortunata creatura aveva i polsi legati dietro la schiena e le ginocchia piegate in maniera tale che il viso poggiava contro la passerella di acciaio. Di calzoni o scarpe non vi era traccia; soltanto un calzino penzolava patetico da un piede. Ma quello che non gli era stato fatto…

Il viso non sembrava contuso né livido, ma al posto degli occhi restavano solo orbite cavernose e sanguinolente. Dalla bocca spuntava un brandello di carne di incerta provenienza. Sulla gola vi era un enorme squarcio e l’addome era solcato da tagli incrociati che lasciavano intravedere gli organi interni. La mano destra era stata tranciata di netto. I genitali erano stati mutilati e inseriti fra le mascelle. Anche le natiche erano state asportate, con tagli netti e profondi.
Con questa descrizione orripilante ci accoglie la città di New York nel 1896. Eppure, vi sembrerà strano, il fascino di questa storia non nasce dagli omicidi o dalle indagini per fermare uno spietato serial killer ma scaturisce da tutto ciò che ruota intorno alla nascita di un modello investigativo inimmaginabile per l’epoca e per le teorie rivoluzionare di colui che tutti chiamavano l’Alienista.
Fino al ventesimo secolo coloro ch soffrivano di disturbi mentali venivano definiti “alienati”, e non solo dal resto della società degli omini, bensì dalla loro stessa natura. Gli esperti che studiavano le patologie mentali erano dunque noti con il nome di alienisti.
New York, 1896. Un misterioso serial killer terrorizza la città uccidendo giovani travestiti e mutilandone i cadaveri. Il commissario Theodore Roosevelt comprende subito che per risolvere il caso bisogna mettere da parte i soliti sistemi. Quindi si rivolge a un giornalista e a un discusso alienista. John,il giornalista, e Laszlo, pioniere nell’applicare i principi della psicologia all’analisi criminologica, iniziano le indagini con un proposito molto ambizioso: partendo dai dettagli dei suoi delitti  è possibile creare il profilo psicologico dell’assassino? Il dottor Laszlo Kreizler, mal visto dal mondo accademico che considera i criminali geneticamente predisposti, organizza un team investigativo composto anche da Sara, una fra le prime donne poliziotto, e i due fratelli ebrei Marcus e Lucius, appassionati delle nuove tecniche investigative. A rendere tutto più complicato concorreranno poliziotti corrotti e gangster senza scrupoli. Delitto dopo delitto appare evidente la mente contorta dell’assassino che mostra, con la sua violenza, l’orrore di un passato mai dimenticato.

Secondo le rivoluzionarie teorie di Kreizler, i mostri iniziano a formarsi nei giorni della loro primissima infanzia, sicuramente nel periodo della loro fanciullezza.
Le risposte fornite nei momenti cruciali della vita non sono mai del tutto spontanee, ma costituiscono la materializzazione di anni di esperienza contestuale, di modelli di comportamento destinati, prima o poi, a dominare la nostra vita.
È stato davvero affascinante scoprire gli albori di teorie che sarebbero, in tempi futuri, universalmente accettate.  La ricerca del serial killer mette in evidenza il lavoro incessante delle menti dei detective. L’indagine diventa un percorso affascinante, costellato di dubbi e supposizioni, senza alcun aiuto tecnologico. Pensate che, all’epoca dei fatti, la ricerca delle impronte digitali era un sistema appena nato.

“L’Alienista”non è una lettura adrenalinica. Scritto in modo ineccepibile, il romanzo ha molteplici punti di forza. L’ambientazione, New York di fine ‘800, è ben ricostruita con dovizia di particolari. Mostra una società corrotta portando alla luce abusi di potere e fragilità umane. Richiama l’attenzione sulle minoranze costrette a vivere nell’ombra. Pone il problema dei manicomi criminali. Dà voce all’emancipazione femminile e mostra il coraggio di tanti uomini, fra cui Theodore Roosevelt che diventerà presidente degli Stati Uniti d’America, pronti a lottare affinché la giustizia trionfi.

La ricostruzione storica, i processi degenerativi nel fanciullo incoraggiati  da un ambiente familiare imperfetto, gli albori delle scienze criminologiche, la descrizione della genesi del mostro, sono tasselli di un mosaico che non è un punto d’arrivo ma rappresenta un importante punto di partenza nell’innesco di nuove tecnologie e dinamiche comportamentali.

“L’Alienista” è un romanzo avvincente che richiede una lettura senza fretta. In alcuni punti il ritmo rallenta a favore d’interessanti descrizioni. Mentre leggete non rapportatevi ai personaggi con tutto il nostro sapere moderno. Cancellate dalla vostra mente modus operandi e profiler, computer e ricerche ultraveloci, ricchi schedari.

Il dottor Kreizler è un pioniere dell’analisi comportamentale, farà errori ma saprà migliorarsi. La rivoluzione nell’indagine è iniziata, nessuno potrà fermarla. Sarà un cammino lungo e difficile, più cose scopri e meno ne sai. Affascinante.

Nell’attesa di vedere su Netflix la serie tratta dal romanzo di Caleb Carr, invito tutti a leggere “L’Alienista”. Il male non deve trovarci impreparati.

giovedì 11 gennaio 2018

RECENSIONE | "Giallo all'ombra del vulcano" di Letizia Triches [Review Party]

Carissimi lettori, è con vero piacere che torno a leggere un giallo scritto dalla bravissima Letizia Triches. Dopo “I delitti della laguna” (recensione) è la volta di “Giallo all’ombra del vulcano”, entrambi editi da Newton Compton.

STILE: 8 | STORIA: 7 | COVER: 7
Giallo all'ombra del vulcano
Letizia Triches

Editore: Newton Compton
Pagine: 319
Prezzo: € 9,90
Sinossi
È una mattina come tante, quella in cui Rachele De Vita saluta suo marito ed esce di casa per andare al lavoro. Cinque giorni più tardi il suo corpo viene ritrovato tra le rocce del tratto di costa compreso fra Aci Trezza e Acireale, straziato da sette colpi di pistola. Come si giustifica tanta ferocia nei confronti di una ragazza dall'esistenza apparentemente molto tranquilla? Le indagini sul caso vengono affidate al pubblico ministero Elena Serra, che inizia da subito a ricostruire nel dettaglio la vita della vittima: quel che ne emerge è un quadro complesso fatto di mezze verità, di piccole e grandi menzogne, che coinvolgono gli affetti recenti e passati della giovane archeologa. Giuliano Neri, a Catania per aiutare un amico in un'opera di restauro, sarà ancora una volta coinvolto in un caso di omicidio in cui l'arte si intreccia spesso con la realtà. Insieme al magistrato, si renderà conto che ci sono passioni distruttive che continuano a bruciare tra i vicoli della città ai piedi dell'Etna. Con la stessa forza del magma sotterraneo del vulcano...



Lunedì, 8 aprile 1991

Una notte alla settimana sognavo di volare. Mi sollevavo dal suolo, con il cuore in gola e lo sguardo fisso in alto. Stendevo le braccia per toccare il cielo… Planavo, sorretta dal vento, e cantavo sempre la stessa canzone di Lucio Battisti. Ma ora non canto, non plano nemmeno. Sto sprofondando nella distesa azzurra del mio mare. Eppure non ho paura. Forse perché sono già morta, o forse perché ormai so dove e quando tutto è cominciato. È stata l’ultima cosa che ho visto. Un istante dopo la mia morte, in quell’attimo fuggente in cui il mio corpo credeva di essere ancora vivo.
L’archeologa Rachele De Vita saluta suo marito Elio ed esce di casa per andare al lavoro. Non farà mai più ritorno. Alcuni giorni dopo il suo cadavere viene ritrovato, straziato da sette colpi di pistola, tra le rocce del tratto di costa compreso fra Aci Trezza e Acireale. Perché tanta ferocia? Le indagini vengono affidate al pm Elena Serra che inizia a ricostruire la vita della vittima. Le indagini rivelano un quadro complesso fatto di mezze verità e menzogne. Giuliano Neri, a Catania per aiutare un amico in un’opera di restauro, verrà coinvolto nell’indagine. Insieme al magistrato si renderà conto che ci sono passioni distruttive che incendiano la città ai piedi dell’Etna.

“Giallo all’ombra del vulcano” è un giallo che si legge con interesse piacevolmente affascinati dall’intreccio tra mito, letteratura e terra di Sicilia.

La storia del crimine è offerta subito al lettore e l’inchiesta si svolge nella bellissima città di Catania. I personaggi sono legati strettamente l’uno all’altro e sono tutti potenzialmente sospetti. L’autrice si serve della storia narrata per calarvi problematiche complesse e profonde. Costruttori collusi con politici e mafia, l’amicizia tradita, il desiderio di realizzare i propri sogni, le scelte d’amore e di vita, la passione per l’archeologia e l’arte. Gli ingredienti alla base di un buon giallo, qui, sono abilmente intrecciati. Non troverete azioni rocambolesche ma un’accurata ricostruzione dei fatti e la deduzione logica degli indizi. Le emozioni forti sono assenti a favore di un contrasto fra la violenza del crimine e la ragione dell’investigatore, tra il rispetto delle regole e l’autorità. Nei panni dell’investigatore ritroviamo una figura nota a chi, come me, ha già apprezzato i precedenti lavori di Letizia Triches, il restauratore Giuliano Neri.

Neri è un uomo curioso e meticoloso. Restauratore famoso per la sua abilità nel cercare e trovare nelle tele indizi anche minuscoli, applica questa sua dote anche alla realtà. Ha capacità investigative fuori dal comune, ha occhio per i particolari, ama analizzare i dettagli e dal particolare ricostruire l’intero. Neri è un personaggio dalle mille sfaccettature che riflette le sue emozioni in un connubio con l’ambiente e con il suo lavoro. Si troverà coinvolto in un’indagine complessa che coinvolgerà anche la sua vita privata.

“Giallo all’ombra del vulcano” è un giallo che potrete beatamente leggere anche nelle tarde ore serali, non vi toglierà il sonno con descrizioni di delitti cruenti ma risveglierà la vostra curiosità perché è evidente che qualcuno trama nell’ombra. Non tutto però è reale perché Giuliano Neri scoprirà, nella mitica Sicilia, “che non sempre il tempo scorre in modo lineare e che le visioni possono essere più vere della realtà.”

Concludo consigliandovi di leggere anche la nota dell’autrice. Un sospetto mi era venuto, poi ho scoperto che avevo ragione quando ho letto la nota:
“La colonna sonora di questo romanzo è stata scelta da Rachele. Era lei che ascoltavo mentre scrivevo. Stavolta il suggerimento musicale ai lettori è quello di mettere insieme una compilation per continuare a far vivere la sua storia. Attenzione al titolo dei capitoli. Individuare i cantanti non sarà difficile, la colonna sonora  verrà di conseguenza.”

Così sulle note di straordinarie canzoni, brani di Battisti, Cocciante, Mannoia, Mina, giungerete alla fine del romanzo. La verità verrà liberata dalla montagna di menzogne e intrighi sotto cui era sepolta. Il bene vincerà sul male. Giustizia sarà fatta, almeno fino alla prossima sfida. Buona lettura.

giovedì 4 gennaio 2018

RECENSIONE | "I sotterranei di Notre Dame" di Barbara Frale [Review Party]


Buon anno cari lettori :)
Dopo le festività natalizie e i buoni propositi per l’anno nuovo, riprendo a scrivere le mie amate recensioni sperando di farvi cosa gradita. Quindi iniziamo il 2018 con un romanzo storico ambientato tra Roma e Parigi, nell’anno 1301. 

“I Sotterranei Di Notre-Dame” di Barbara Frale, edito Newton Compton, in libreria dal 4 gennaio.


STILE: 7 | STORIA: 8 | COVER: 7
I sotterranei di Notre Dame
Barbara Frale

Editore: Newton Compton
Pagine: 384
Prezzo: € 9,90
Sinossi
Parigi, 1301. La Francia vive l'incubo di una mortale epidemia di peste. Il sospetto è che sia stata scatenata con dolo da alcuni congiurati, per eccitare il popolo in rivolta contro Filippo IV il Bello. L'unico in grado di impedire la catastrofe sembra essere il celebre Arnaldo da Villanova, noto come il Catalano, geniale e discusso medico del papa, da molti accusato di praticare le arti magiche. Il re di Francia incarica allora il cardinale Matteo d'Acquasparta di portare Arnaldo a Parigi. Una volta giunto a Roma, il cardinale comprende però che Filippo nasconde altre intenzioni: forse vuole il Catalano non tanto per il suo talento medico, quanto per la sua abilità nella magia. Anche il pontefice ha dei sospetti sulla richiesta del re e affida al nipote Crescenzio Caetani, giovane baccelliere in medicina, e al suo amico Dante Alighieri, delegato della Repubblica di Firenze presso la Santa Sede, il compito di indagare. Fra le pagine dei trattati medici e la tradizione magica dell'Oriente islamico, i due tenteranno di scoprire cos'è che davvero tormenta il monarca più potente della cristianità. Un segreto che il Catalano non sembra disposto a rivelare...



Filippo IV di Francia detto “il Bello”, ma anche il “Re di ferro”, comandava allora sul regno più vasto e sull’esercito più potente del mondo cristiano; sovrano consacrato e nipote di un re santo, si sentiva l’Unto di Dio. Bonifacio VIII, Vicario di Cristo e di Pietro, sommo romano pontefice, era signore sulle anime e sui corpi di tutto il genere umano.

Questi due uomini reggevano il mondo come i pilastri della terra; ma sfortunatamente non erano in accordo tra loro.
Parigi 1301. La Francia è sotto l’assedio di un incubo mortale: si sospetta che alcuni congiurati, per spingere il popolo a ribellarsi contro Filippo IV il Bello, abbiano scatenato una mortale epidemia. Un solo uomo, il celebre Arnaldo da Villanova, noto come il Catalano, è in grado di impedire la catastrofe. Arnaldo si trova a Roma, è il geniale e discusso medico del papa. Il re Filippo IV incarica il cardinale Matteo d’Acquasparta di portare il medico a Parigi. Impresa ardua perché, proprio a Parigi, Arnaldo è stato accusato di praticare la magia. Ora il re lo rivuole presso di sé. Per quale motivo? Anche il papa Bonifacio VIII, temendo un complotto contro la Santa Sede, ha dei sospetti sulla richiesta del re e affida al nipote Crescenzio Caetani e al suo amico Dante Alighieri, il compito di indagare. Sarà un percorso affascinante tra le pagine dei trattati medici e la tradizione magica dell’Oriente islamico. Cosa tormenta Federico IV, il monarca più potente della cristianità? Cosa si cela nei sotterranei di Notre-Dame?

Barbara Frale sa come catturare l’attenzione dei lettori! Fin dai primi capitoli mi sono beatamente lasciata avvolgere dalle atmosfere notturne di una Parigi inquieta tenuta in pugno da una nefasta previsione:
Studiando il corso delle stelle, Arnaldo diceva che si sarebbe abbattuta sulla Francia un’orrenda calamità. Parlava di città deserte,abitate soltanto da cani e bestie selvatiche in cerca di carogne da divorare. Descriveva corpi accatastati in chiesa, mucchi tanto alti da arrivare al soffitto. Morti che giacevano ovunque, ma insepolti perché non ci sarebbe stata più anima viva a occuparsi di loro.
Con gran curiosità ho assistito a una guerra diplomatica in corso tra il papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello. Entrambi erano uomini carismatici, uno Vicarius Petri e il secondo alter Christus. Si combattevano a colpi di sotterfugi, menzogne e vili colpi bassi. Entrambi erano vittime dello stesso crudele disegno divino: la maledizione del potere.  Essere uomini potenti non vuol dire essere uomini felici, anzi spesso si è condannati ad essere soli e a celare le proprie emozioni.

“I sotterranei di Notre-Dame” non è un thriller nel senso tradizionale del termine. Non troverete scie di sangue, corpi orrendamente mutilati, serial killer e detective. Tuttavia la storia mi ha appassionata con scenari inizialmente apocalittici che si sono trasformati in profonde lacerazioni dell’animo di alcuni protagonisti assillati dalla necessità di scongiurare eventi drammatici per i loro regni. Questo romanzo racconta dell’odio di Filippo IV contro i Templari e della loro caduta. La narrazione nasce dalle fonti storiche che ci portano a conoscere i motivi dell’odio di Filippo IV verso i Templari per cose orribili vissute nell’infanzia e nell’adolescenza. Nel cuore del re ci sono rabbia e desiderio di vendetta. Filippo è un uomo pieno di ferite che nasconde con un carattere gelido, oppresso da un difficile passato, tormentato da dubbi che gettano un’ombra di morte sul suo regno e sulla sua discendenza.

Barbara Frale ha svolto un lavoro certosino, durato circa vent’anni, per raccogliere il materiale che ha dato i natali a questo libro. La verità storica è integrata, dove necessario, con fatti di fantasia. Si palesa così un’idea di quanto accadde agli albori dell’Europa moderna. Il risultato è un libro gradevole, una lettura interessante che fotografa un periodo storico ricco di avvenimenti, intrighi e cospirazioni. Scoprirete non solo la fragilità umana ma conoscerete anche figure femminili rivoluzionarie per l’epoca in cui la storia si svolge. L’animo umano si mostrerà in tutta la sua debolezza e spesso, in nome del potere, verranno immolati teneri amori e scomode verità. Affascinante, poi, la descrizione della tradizione magica dell’Oriente. La vostra fantasia avrà un ottimo cibo di cui nutrirsi, una lettura che vi sorprenderà per la sua piacevolezza e fluidità. Il Medioevo affascina ancora grazie al lavoro e alle ricerche di Barbara Frale.